Per gli approfondimenti su Pulsano ho pensato di seguire un andamento cronologico, quindi partire dalla fase più antica del paese ovvero il promontorio di Torre Castelluccia con il suo villaggio preistorico.
La zona prende il nome appunto dalla Torre, che non ha affinità con il villaggio preistorico, infatti essa risale al '500, ed è stata fatta costruire dagli spagnoli, insieme alle altre torri che sorvegliano la costa, per proteggersi dagli attacchi dei saraceni.
Il sito è stato scavato tra la fine degli anni '40 e l'inizio degli anni '50, riportando alla luce una serie cospicua di tracce archeologiche, le quali ormai non sono più visibili, in quanto il sito non è mai stato tutelato. Proprio a tal proposito le foto che vi propongo sono relative alla zona e non al sito vero e proprio.
Il materiale invece è conservato all'interno del Museo Nazionale di Taranto, anche se fino all'estate scorsa i reperti erano ancora riposti nei magazzini e non visibili al pubblico.
Cristiana Margherita
PULSANO IN ETÀ PREISTORICA E MESSAPICA
Non sappiamo con certezza dove collocare la Pulsano preistorica nella sua interezza. Sappiamo sicuramente che vi fosse un villaggio chiamato Pulsano e che si trovasse su un altura a strapiombo tra il Golfo di Taranto e Torre dell'Ovo.
La zona attualmente è denominata “Bosco Caggioni”, ed è anche conosciuta come “Torre Castelluccia” (De Marco, 1986, p. 12).
Le prime tracce risalgono al Paleolitico e sono state circoscritte all'omonimo promontorio di Torre Castelluccia. Le tracce archeologiche sono state portate alla luce tra il 1949 e il 1952, durante lo scavo condotto da C. Drago che ci parla di un villaggio che: “...si presenta formato da strade e da piccoli agglomerati di capanne, costruite con materiale leggero e deperibile, tutte di forma rettangolare e della medesima grandezza, in media di 10 metri, con i muretti di fondazione ottenuti da lastroni o con grosse pietre irregolari informi. Solo alcune di esse appaiono molto più larghe e più lunghe delle altre...
…Le capanne di Torre Castelluccia appaiono delimitate, alla base, da muretti che oggi raggiungono l’altezza di appena 50 cm, e che originariamente dovevano essere più alti e si dovevano incastrare in grossi tronchi, facenti parte dell'armatura di sostegno, questi dovevano essere ben tamponati da rami e sterpi e ricoperti da uno spesso strato di intonaco argilloso, forse misto a carbone, atto a difendere l’interno dalla pioggia e dall’umidità...
…I pavimenti che si presentano avvallati e qualche volta in buona parte disfatti, appaiono ottenuti quasi tutti con uno strato di argilla cenerognola battuta; solo alcuni sono formati da lastre di pietra...
…Una sola capanna accennava, alla lontana, ad una forma circolare; fuori di essa, sopra uno strato di battuto concotto, si notarono alcune pietre informi accostate, che avevano subito l’azione del fuoco, piccoli mucchi di cenere indurita e al di sopra moltissimi frammenti d’intonaco, alcuni dei quali così amalgamati tra di loro da apparire come un uniforme ammasso di argilla giallognola” (Drago, 1953, pp. 157-158).
Inoltre ai piedi dello strapiombo del suddetto villaggio, furono rinvenute due navi del periodo romano, ancora sepolte dalla sabbia. Il Prof. Lo Porto, funzionario della Soprintendenza di Taranto, si propose di recuperare le navi e sistemarle all'interno del Museo Nazionale di Taranto, ma ancora adesso di queste imbarcazioni non abbiamo traccia (De Marco, 1986, p. 12).
Il villaggio fu soggetto, spesse volte, a opere di saccheggio da parte di pirati, che portarono gli abitanti ad arretrare verso l'interno, rifugiandosi in alcune grotte della contrada “Scorcora”, in quella della “Leccese” che è l'attuale Leporano, in quelle di “Sant'Angelo” e dell' “Annunziata”, l'attuale Lizzano.
Altre tracce, ma questa volta Neolitiche, sono state rinvenute dal Prof. Biagio Fedele, rappresentate da impianti capannicoli che attestavano l'attività agricola di tutte le genti autoctone, con influenze dall'Egeo, dall'Anatolia e dalle civiltà micro-asiatiche (Drago, 1950).
Il primo nucleo pulsanese viveva con continui contatti commerciali con altri villaggi limitrofi, e al tempo in cui la zona fu studiata archeologicamente, vennero rilevati anche gli antichi tratturi che venivano percorsi tra IV e II secolo a.C.
Il Prof. Fedele, inoltre, condusse delle ricognizioni, non sistematiche, che lo portarono a delimitare i confini di molti villaggi (Fedele, 1972, pp. 128-131). Questi ultimi erano quasi tutti posti su un'altura e cinti da fossato.
Come l'intera costa ionica, anche quella pulsanese si trovava sulle rotte dei traffici commerciali provenienti dall'oriente, che portarono influssi nuovi, ma in ogni caso la popolazione locale conservò i segni propri di cultura autoctona, delineando i caratteri distintivi di questa gente, ovvero le attività rurali e di pastorizia inizialmente, e successivamente quelle artigianali e commerciali (De Marco, 1986, p. 14).
Pulsano, in questo periodo, era strettamente legato a Taranto e Oria, precedentemente ad Aulonia e Saturo.
Fino all'VIII secolo a.C. si registrarono tre ondate migratorie dall'Oriente verso l'Italia meridionale. La fascia di Pulsano fu coinvolta soprattutto dall'espansione ellenistica con conseguenze gravi per quanto riguarda la convivenza, che portarono all'isolamento dei messapi nell'entroterra, tra Oria e Manduria, in quanto restii alla fusione con le nuove genti (De Marco, 1986, p. 15).
Le successive guerre tra Tarantini e Messapi, del 500 a.C., portarono allo schieramento di Pulsano con questi ultimi, nel tentativo di salvare i suoi porti e i commerci clandestini, ma la vittoria fu dei Tarantini e per Pulsano fu la catastrofe.
Successivamente, nel 470 a.C., i Messapi e i Pulsanesi tentarono una riscossa, che portò alla sconfitta dei tarantini, ricacciandoli nella loro isola.
Questa lotta continuò fino alla spinta espansionistica di Roma, quando tarantini e messapi si accordarono spartendosi il territorio, con la costruzione di un muro che divideva le due zone.
Queste continue lotte portarono alla distruzione dei villaggi costieri e i superstiti si dedicarono all'agricoltura, in condizioni di vassallaggio a Taranto. Mentre Saturo, che come i Pulsanesi aveva appoggiato i Messapi, divenne una zona di villeggiature per famiglie nobili tarantine (De Marco, 1986, p. 16).
BIBLIOGRAFIA
C. Drago, 1950, Autoctonia del Salento, Locorotondo (BA).
C. Drago, 1953, Lo scavo di Torre Castelluccia (Pulsano), in Bullettino di Paletnologia Italiana, VIII, pp. 157-158.
A. De Marco, 1986, Pulsano nei Tempi, Galatina (LE).
B. Fedele, 1972, Insediamenti neolitici a Sud-Est di Taranto, in “Archivio Storico Pugliese”, XXV, fasc. I-II.
La zona prende il nome appunto dalla Torre, che non ha affinità con il villaggio preistorico, infatti essa risale al '500, ed è stata fatta costruire dagli spagnoli, insieme alle altre torri che sorvegliano la costa, per proteggersi dagli attacchi dei saraceni.
Il sito è stato scavato tra la fine degli anni '40 e l'inizio degli anni '50, riportando alla luce una serie cospicua di tracce archeologiche, le quali ormai non sono più visibili, in quanto il sito non è mai stato tutelato. Proprio a tal proposito le foto che vi propongo sono relative alla zona e non al sito vero e proprio.
Il materiale invece è conservato all'interno del Museo Nazionale di Taranto, anche se fino all'estate scorsa i reperti erano ancora riposti nei magazzini e non visibili al pubblico.
Cristiana Margherita
PULSANO IN ETÀ PREISTORICA E MESSAPICA
Non sappiamo con certezza dove collocare la Pulsano preistorica nella sua interezza. Sappiamo sicuramente che vi fosse un villaggio chiamato Pulsano e che si trovasse su un altura a strapiombo tra il Golfo di Taranto e Torre dell'Ovo.
La zona attualmente è denominata “Bosco Caggioni”, ed è anche conosciuta come “Torre Castelluccia” (De Marco, 1986, p. 12).
Le prime tracce risalgono al Paleolitico e sono state circoscritte all'omonimo promontorio di Torre Castelluccia. Le tracce archeologiche sono state portate alla luce tra il 1949 e il 1952, durante lo scavo condotto da C. Drago che ci parla di un villaggio che: “...si presenta formato da strade e da piccoli agglomerati di capanne, costruite con materiale leggero e deperibile, tutte di forma rettangolare e della medesima grandezza, in media di 10 metri, con i muretti di fondazione ottenuti da lastroni o con grosse pietre irregolari informi. Solo alcune di esse appaiono molto più larghe e più lunghe delle altre...
…Le capanne di Torre Castelluccia appaiono delimitate, alla base, da muretti che oggi raggiungono l’altezza di appena 50 cm, e che originariamente dovevano essere più alti e si dovevano incastrare in grossi tronchi, facenti parte dell'armatura di sostegno, questi dovevano essere ben tamponati da rami e sterpi e ricoperti da uno spesso strato di intonaco argilloso, forse misto a carbone, atto a difendere l’interno dalla pioggia e dall’umidità...
…I pavimenti che si presentano avvallati e qualche volta in buona parte disfatti, appaiono ottenuti quasi tutti con uno strato di argilla cenerognola battuta; solo alcuni sono formati da lastre di pietra...
…Una sola capanna accennava, alla lontana, ad una forma circolare; fuori di essa, sopra uno strato di battuto concotto, si notarono alcune pietre informi accostate, che avevano subito l’azione del fuoco, piccoli mucchi di cenere indurita e al di sopra moltissimi frammenti d’intonaco, alcuni dei quali così amalgamati tra di loro da apparire come un uniforme ammasso di argilla giallognola” (Drago, 1953, pp. 157-158).
Inoltre ai piedi dello strapiombo del suddetto villaggio, furono rinvenute due navi del periodo romano, ancora sepolte dalla sabbia. Il Prof. Lo Porto, funzionario della Soprintendenza di Taranto, si propose di recuperare le navi e sistemarle all'interno del Museo Nazionale di Taranto, ma ancora adesso di queste imbarcazioni non abbiamo traccia (De Marco, 1986, p. 12).
Il villaggio fu soggetto, spesse volte, a opere di saccheggio da parte di pirati, che portarono gli abitanti ad arretrare verso l'interno, rifugiandosi in alcune grotte della contrada “Scorcora”, in quella della “Leccese” che è l'attuale Leporano, in quelle di “Sant'Angelo” e dell' “Annunziata”, l'attuale Lizzano.
Altre tracce, ma questa volta Neolitiche, sono state rinvenute dal Prof. Biagio Fedele, rappresentate da impianti capannicoli che attestavano l'attività agricola di tutte le genti autoctone, con influenze dall'Egeo, dall'Anatolia e dalle civiltà micro-asiatiche (Drago, 1950).
Il primo nucleo pulsanese viveva con continui contatti commerciali con altri villaggi limitrofi, e al tempo in cui la zona fu studiata archeologicamente, vennero rilevati anche gli antichi tratturi che venivano percorsi tra IV e II secolo a.C.
Il Prof. Fedele, inoltre, condusse delle ricognizioni, non sistematiche, che lo portarono a delimitare i confini di molti villaggi (Fedele, 1972, pp. 128-131). Questi ultimi erano quasi tutti posti su un'altura e cinti da fossato.
Come l'intera costa ionica, anche quella pulsanese si trovava sulle rotte dei traffici commerciali provenienti dall'oriente, che portarono influssi nuovi, ma in ogni caso la popolazione locale conservò i segni propri di cultura autoctona, delineando i caratteri distintivi di questa gente, ovvero le attività rurali e di pastorizia inizialmente, e successivamente quelle artigianali e commerciali (De Marco, 1986, p. 14).
Pulsano, in questo periodo, era strettamente legato a Taranto e Oria, precedentemente ad Aulonia e Saturo.
Fino all'VIII secolo a.C. si registrarono tre ondate migratorie dall'Oriente verso l'Italia meridionale. La fascia di Pulsano fu coinvolta soprattutto dall'espansione ellenistica con conseguenze gravi per quanto riguarda la convivenza, che portarono all'isolamento dei messapi nell'entroterra, tra Oria e Manduria, in quanto restii alla fusione con le nuove genti (De Marco, 1986, p. 15).
Le successive guerre tra Tarantini e Messapi, del 500 a.C., portarono allo schieramento di Pulsano con questi ultimi, nel tentativo di salvare i suoi porti e i commerci clandestini, ma la vittoria fu dei Tarantini e per Pulsano fu la catastrofe.
Successivamente, nel 470 a.C., i Messapi e i Pulsanesi tentarono una riscossa, che portò alla sconfitta dei tarantini, ricacciandoli nella loro isola.
Questa lotta continuò fino alla spinta espansionistica di Roma, quando tarantini e messapi si accordarono spartendosi il territorio, con la costruzione di un muro che divideva le due zone.
Queste continue lotte portarono alla distruzione dei villaggi costieri e i superstiti si dedicarono all'agricoltura, in condizioni di vassallaggio a Taranto. Mentre Saturo, che come i Pulsanesi aveva appoggiato i Messapi, divenne una zona di villeggiature per famiglie nobili tarantine (De Marco, 1986, p. 16).
BIBLIOGRAFIA
C. Drago, 1950, Autoctonia del Salento, Locorotondo (BA).
C. Drago, 1953, Lo scavo di Torre Castelluccia (Pulsano), in Bullettino di Paletnologia Italiana, VIII, pp. 157-158.
A. De Marco, 1986, Pulsano nei Tempi, Galatina (LE).
B. Fedele, 1972, Insediamenti neolitici a Sud-Est di Taranto, in “Archivio Storico Pugliese”, XXV, fasc. I-II.